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Peste Suina Africana

La Peste Suina Africana (PSA) è una malattia virale di tipo emorragico che colpisce solo le specie animali appartenenti alla famiglia dei suidi (suini domestici e specie selvatiche). Il virus responsabile appartiene alla famiglia Asfarviridae, genere Asfivirus, per il quale non è disponibile ad oggi alcun vaccino. La malattia non è trasmissibile all’uomo. La PSA è causa di ingenti perdite economiche nel comparto suinicolo, con gravi ripercussioni anche sul commercio internazionale di animali vivi e dei loro prodotti.
Il virus è in grado di diffondere attraverso il contatto diretto tra animali infetti mentre la trasmissione indiretta può avvenire a seguito di ingestione di carne e prodotti derivati provenienti da animali infetti, rifiuti alimentari, scarti di cucina, frattaglie di cinghiali infetti o tramite il contatto con oggetti contaminati dal virus come attrezzature, veicoli e abbigliamento. La PSA è endemica nelle regioni sub-sahariane del continente africano. Nel 2007 la malattia ha fatto la sua prima comparsa nelle regioni caucasiche (Georgia, Armenia, Azerbaigian) e, successivamente, in Russia, Ucraina e Bielorussia. Nel 2014 il virus ha raggiunto i paesi dell’Unione Europea (Lituania, Paesi Baltici, Polonia). Il fronte epidemico ha via via interessato numerosi territori tra il 2016 e il 2018 (Moldavia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria, Bulgaria, Belgio, quest’ultimo raggiunto dal virus tramite un “salto” causato da attività umane). Due paesi, la Repubblica Ceca e il Belgio, sono riusciti ad eradicare la malattia dal proprio territorio, nel 2019 e nel 2020. Dopo un'assenza di circa 3 anni, la PSA è tuttavia riemersa nella Repubblica Ceca a dicembre 2022. Tra il 2019 e il 2020, Serbia, Grecia e Germania si sono uniti agli altri paesi già infetti in Europa. Contestualmente, il virus ha raggiunto il continente asiatico (Cina, 2018) espandendosi poi nei paesi del Sud-Est asiatico (tra i quali India, Mongolia, Filippine, Corea del Nord e del Sud, Vietnam, Cambogia, Lao, Myanmar, Indonesia) e dell’Oceania (Timor Leste, Papua Nuova Guinea). Nel 2021, anche l’America ha notificato casi di malattia (Repubblica Dominicana e Haiti). Nel 2022 l’Italia ha confermato l’ingresso del virus sul territorio continentale a gennaio, così come Macedonia del Nord e Thailandia. Nel marzo 2022, la PSA è stata segnalata per la prima volta in Nepal. Inoltre, la malattia è ricomparsa nella Repubblica Ceca a dicembre 2022. Nel 2023, sia Bosnia-Erzegovina, Croazia e Kosovo hanno notificato la presenza della PSA nelle popolazioni selvatiche e domestiche. L’ultimo paese europeo, in ordine di tempo, ad essere stato coinvolto dall’attuale ondata epidemica è la Svezia, dove la malattia ha fatto la sua comparsa nel cinghiale ad agosto 2023. Nei mesi di gennaio e febbraio 2024 Montenegro e Albania si sono uniti al gruppo dei paesi infetti.

PSA in Italia

Il primo caso di PSA sul territorio continentale è rappresentato da un cinghiale rinvenuto morto nel territorio del comune di Ovada (Alessandria), e sottoposto ai test previsti dal Piano Nazionale di Sorveglianza Passiva. Successivamente, altre positività sono state riscontrate in carcasse di cinghiale nelle zone limitrofe del Piemonte e in Liguria. A distanza di alcuni mesi, a maggio 2022, una nuova conferma di positività nei selvatici arriva dal Lazio, in particolare dal Comune di Roma, dove viene confermato anche un unico focolaio nei suini domestici (giugno 2022). A maggio 2023, la presenza della malattia viene confermata in provincia di Reggio Calabria, nel giro di pochi giorni, sia nel cinghiale che nei domestici, e in provincia di Salerno, nel cinghiale. A giugno 2023, il primo caso di malattia nel selvatico è stato notificato in provincia di Pavia e, a partire da agosto, alcuni allevamenti da ingrasso situati nella stessa provincia sono risultati infetti, causando l’applicazione di tutte le misure previste in caso di focolai nei suini domestici. A novembre 2023, la malattia è stata confermata nella popolazione dei selvatici anche in Emilia Romagna, nel comune di Ottone (provincia di Piacenza), in territorio già ricedente in Zona di Restrizione II per contiguità con il territorio lombardo infetto. Correlata ai focolai in Lombardia, la prima incursione di ASFV genotipo II è stata rilevata in Sardegna, il 20 settembre 2023, in un piccolo allevamento di suini, situato nel comune di Dorgali, in provincia di Nuoro. Dopo il coinvolgimento della provincia di Piacenza, il 29 gennaio 2024 è stato confermato il primo caso di PSA in un cinghiale trovato morto in provincia di Parma, nel comune di Tornolo al confine con la Liguria, in terriotrio già ricadente in Zona di Restrizione II. Nel mese di luglio 2024, la malattia è stata notificata per la prima volta in Toscana, provincia di Massa Carrara, comune di Zeri, nella popolazione selvatica. Inoltre, a partire da luglio 2024, una ondata epidemica nel domestico ha coinvolto le regioni Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna, causando la notifica di numerosi focolai nelle province di Novara, Milano, Pavia, Lodi, Piacenza. In tutte le macroaree infette, il sequenziamento dei campioni ha permesso di rilevare che lo stipite virale circolante appartiene al genotipo II. In Sardegna, infine, l’eradicazione della malattia sia nei selvatici che nei suini domestici (virus genotipo I) è stata ottenuta a settembre 2024.

Indicazioni modalità di campionamento

 
 

LEGISLAZIONE COMUNITARIA

ANNI PRECEDENTI

ULTERIORI NORME DI INTERESSE

PARERI TECNICI

EFSA SCIENTIFIC REPORT OCTOBER 2024
EFSA EXTERNAL SCIENTIFIC REPORT SEPTEMBER 2024
EFSA EXTERNAL SCIENTIFIC REPORT APRIL 2024
EFSA SCIENTIFIC REPORT APRIL 2024
EFSA SCIENTIFIC REPORT APRIL 2023
FAO WB ECOLOGY AND BIOSECURITY 2022
EFSA EXTERNAL SCIENTIFIC REPORT APRIL 2022
EFSA SCIENTIFIC OPINION LUGLIO 2021
EFSA SCIENTIFIC REPORT MARZO 2021
EFSA SCIENTIFIC OPINION 21 GIUGNO 2
EFSA SCIENTIFIC OPINION 21 GIUGNO 2021
EFSA SCIENTIFIC OPINION GIUGNO 2021
EFSA SCIENTIFIC REPORT MAGGIO 2021
EFSA EXTERNAL SCIENTIFIC REPORT MAGGIO 2021
EFSA SCIENTIFIC OPINION APRILE 2021
EFSA SCIENTIFIC OPINION MARZO 2021
EFSA SCIENTIFIC OPINION GENNAIO 2021
EFSA EXTERNAL SCIENTIFIC REPORT DICEMBRE 2020
EFSA SCIENTIFIC OPINION DICEMBRE 2020
EFSA SCIENTIFIC OPINION OTTOBRE 2020
DG SANTE MANAGEMENT ASF 2020
EFSA SCIENTIFIC REPORT DICEMBRE 2019
EFSA SCIENTIFIC OPINION SETTEMBRE 2019
EFSA SCIENTIFIC REPORT LUGLIO 2019
FAO FOCUS ON CARCASSES MANAGEMENT 2018
GF-TADS HANDBOOK WB BIOSECURITY DURING HUNTING 2018
EFSA SCIENTIFIC REPORT 2018
EFSA SCIENTIFIC OPINION WB 2018
EFSA EXTERNAL SCIENTIFIC REPORT 2017
EFSA SCIENTIFIC REPORT MARZO 2017
EFSA SCIENTIFIC REPORT OTTOBRE 2017
FAO ASF DETECTION AND DIAGNOSIS 2017
EFSA SCIENTIFIC OPINION WB 2015
EFSA SCIENTIFIC OPINION 2014
EFSA SCIENTIFIC OPINION UPDATE 2014
EFSA SCIENTIFIC OPINION 2013
EFSA SCIENTIFIC OPINION MARZO 2010
FAO GOOD PRACTICES FOR BIOSECURITY IN PIG SECTOR 2010

SITOGRAFIA

CLINICA E SINTOMI

A seguito all’ingresso del virus in un ospite suscettibile per via oronasale, vengono coinvolti in prima battuta i monociti e i macrofagi residenti nelle tonsille e nei linfonodi mandibolari, nei quali avviene la prima replicazione virale. In seguito, il virus diffonde attraverso il sangue e/o il sistema linfatico fino ad arrivare ai siti di replicazione virale secondaria (linfonodi, midollo osseo, milza, polmoni, fegato e reni). Solitamente la viremia ha inizio 4 – 8 giorni dopo l’infezione e può persistere per settimane o mesi. I meccanismi patogenetici alla base delle lesioni emorragiche rimangono ancora dubbi, anche se, in alcuni studi si suggerisce che queste lesioni possano essere associate alla replicazione virale nelle cellule endoteliali e il rilascio di citochine da parte delle cellule del Sistema Reticolo Endoteliale, che provocherebbero una coagulazione intravascolare disseminata (CID).
Il periodo di incubazione va da 4 a 19 giorni, in media 15 giorni.
Le forme cliniche della PSA si suddividono in iperacute/acute, subacute, croniche.
I sintomi principali sono:

  • febbre elevata
  • anoressia
  • depressione del sensorio
  • sintomi neurologici (andatura rigida fino alla paresi del treno posteriore)
  • aumento della frequenza respiratoria, tosse e dispnea
  • aree cianotiche ed emorragiche (a macchia o estese) su orecchie, addome e/o zampe posteriori; arrossamento della pelle di torace, addome, perineo, coda e zampe
  • costipazione o diarrea, che può diventare sanguinolenta
  • vomito
  • scolo oculare e nasale
  • aborto di scrofe gravide in tutte le fasi della gravidanza.

Nella forma acuta, i suini infetti mostrano segni di malessere generalizzato, con febbre elevata e depressione del sensorio, e sintomi di congestione ed emorragia a carico di cute, mucose e numerosi organi interni (vomito, epistassi, dolore addominale, costipazione o diarrea). Possibili i segni neurologici e, nelle fasi finali della malattia, sintomi respiratori. Questa forma provoca mortalità fino al 90 – 100% dei casi e, di solito, la morte avviene dopo 5 – 10 giorni.
Le forme subacute presentano segni clinici più lievi e persistenti fino anche alle 4 settimane. Gli animali possono andare incontro a morte o a guarigione in circa 3 – 4 settimane; inoltre, durante la fase di convalescenza continuano ad eliminare il virus attraverso le secrezioni per circa 3 settimane post – infezione.
Le forme croniche sono caratterizzate da un’ampia gamma di segni clinici e lesioni aspecifiche, soprattutto a carico della cute e delle articolazioni, dove si osservano gonfiore e segni di ulcere e necrosi.

Lesioni post-mortem

Le lesioni anatomopatologiche riscontrate sono prevalentemente di tipo emorragico nelle forme acute e di tipo ulcerativo/necrotico nelle forme croniche.
Nella forma acuta della PSA, nei suini con cute bianca, si osservano eritema cutaneo, lesioni petecchiali, ecchimosi e lesioni cianotiche, quest’ultime presenti soprattutto a livello delle porzioni periferiche del corpo (orecchie, coda, grugno, arti distali, sacco scrotale) e delle porzioni ventrali toraciche e addominali. Le mucose sono congeste ed emorragiche. Nelle cavità corporee e nel pericardio si possono osservare versamenti con aspetto che vira dal giallo paglierino al color sangue. Gli organi appaiono congestionati e le loro superfici sierose presentano emorragie evidenti. Sono spesso presenti lesioni emorragiche puntiformi a livello della corticale renale, della capsula splenica e dei polmoni, mentre la milza appare ingrandita con margini arrotondati, di colore rosso scuro e di consistenza friabile, i linfonodi sono aumentati di volume e gravemente emorragici, fino a sembrare coaguli di sangue.
Nelle forme croniche si riscontrano necrosi cutanea focale e ulcere cutanee; è possibile notare polmonite caseosa e pericardite fibrinosa, con eventuali aderenze pleuriche; le articolazioni appaiono ingrossate e gonfie.

TERAPIA E PROFILASSI

Non esiste alcuna possibilità terapeutica per la Peste Suina Africana. Al tempo stesso, non esiste ancora un vaccino sicuro ed efficace nei confronti del virus della PSA, nonostante gli sforzi di numerosi gruppi di ricerca in tutto il mondo.
Quando si riscontrano uno o più sintomi, tali da far sospettare la presenza di PSA, occorre immediatamente darne comunicazione ai servizi veterinari competenti per territorio.

PREVENZIONE E DIAGNOSI

Il virus è in grado di diffondere attraverso il contatto diretto da animali sani a infetti, mentre la trasmissione indiretta avviene attraverso il materiale contaminato, come rifiuti alimentari e scarti di cucina. La trasmissione indiretta avviene anche tramite il contatto con oggetti contaminati dal virus, come attrezzature, veicoli e abbigliamento o calzature (fomiti).
L’unico vettore biologico del virus, la zecca molle del genere Ornithodoros, è presente solo in Africa e in altre aree asiatiche, dove è coinvolta nel ciclo epidemiologico dei suidi selvatici. Sebbene la sua presenza sia stata in passato segnalata in poche occasioni in Italia, il suo ruolo è assolutamente trascurabile.
Nelle zone libere da malattia, è necessario promuovere la conoscenza e la applicazione di adeguate misure di biosicurezza negli allevamenti, compresi i meccanismi per evitare il contatto tra selvatici e domestici; al tempo stesso, le autorità sanitarie sono tenute a vigilare e, nel caso, testare gli animali in caso di sospetto, favorendo un adeguato livello di sorveglianza passiva che risulta molto più sensibile rispetto alla sorveglianza attiva.
Inoltre, la gestione della popolazione dei cinghiali è ritenuta di fondamentale importanza ai fini della prevenzione e del controllo della malattia, sia nelle zone non infette che in quelle infette. In via preventiva si deve applicare una corretta gestione delle popolazioni di cinghiali con l’obiettivo di ridurne la densità, attraverso strategie di lungo termine compresa la caccia di selezione; nelle aree infette si devono invece sospendere le attività venatorie e tutte le altre attività ludiche o economiche che possono disperdere i cinghiali e diffondere l’epidemia.
La tipologia di sorveglianza ritenuta efficace per rilevare l’ingresso del virus in un territorio indenne è la sorveglianza passiva: campionare e testare animali suscettibili rinvenuti morti aumenta le probabilità di individuare precocemente l’infezione eventualmente presente. Anche nelle zone già infette, la ricerca e la rimozione in sicurezza delle carcasse è una delle misure fondamentali per ridurre la pressione virale nell’ambiente. In alcuni casi, è attuabile anche la sorveglianza attiva sui capi cacciati. È importante utilizzare personale formato in grado di applicare opportune procedure di biosicurezza.
Una volta che la malattia coinvolge un nuovo territorio, devono essere disposte azioni immediate allo scopo di confinare e, possibilmente, eradicare la malattia e, al tempo stesso, permettere gli scambi commerciali di suini e prodotti derivati nelle aree al di fuori delle zone infette. In particolare, la comunità europea prevede l’applicazione del principio di regionalizzazione, secondo il quale le zone di uno Stato Membro in cui la malattia si è diffusa nelle popolazioni di selvatici e/o domestici sono soggette a stringenti restrizioni commerciali, mentre il resto del Paese non è soggetto a vincoli.
Tutte le misure previste dalla strategia comunitaria di controllo della PSA richiedono una forte collaborazione tra le autorità sanitarie e le altre istituzioni comunque coinvolte, così come è necessaria una forte presa di coscienza da parte di numerose categorie, come allevatori e cacciatori, attraverso efficaci campagne di sensibilizzazione degli stakeholders.
La diagnosi di malattia è effettuata tramite vari esami di laboratorio, sia di tipo diretto (ricerca del virus/del genoma virale), come isolamento virale e RT-PCR, sia di tipo indiretto (ricerca degli anticorpi) come test ELISA e Immunoperossidasi.
Ogni caso di malattia, anche sospetto sulla base dei segni clinici/lesioni post-mortem, deve essere confermato dalla diagnosi di laboratorio.

 

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 Che cos'è la peste suina africana?

È una infezione virale che colpisce i suini domestici e selvatici, non trasmissibile all’uomo. È una malattia altamente infettiva e spesso mortale per gli animali colpiti, sostenuta da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus.
Questo virus è incapace di stimolare la formazione di anticorpi neutralizzanti, fattore che rende estremamente complicata la preparazione di un vaccino.

 Quando è comparsa la peste suina africana e dove è diffusa?

La malattia è stata scoperta in Africa nel 1921 e qualche decennio dopo è stata segnalata in Europa (Portogallo 1957, 1960-1994; Spagna 1960-1995; Francia 1964; Italia 1967, 1969, 1978; Russia 1977; Malta 1978; Belgio 1985; Olanda 1986) e anche in America (Cuba 1971, 1980; Brasile 1978; Repubblica Dominicana 1978; Haiti 1979).

Fino alla fine degli anni ’90 la PSA è stato un pericolo sottostimato. In quel periodo, l’infezione era stata eradicata da diversi territori (es. America Latina, Europa occidentale) e la Regione Sardegna era l’unica area ancora endemica fuori dal continente africano.

Nel 2007 l’infezione è stata segnalata nel Caucaso provocando immediatamente l’allarme degli esperti a livello internazionale. In quest’area, la malattia ha trovato le condizioni ideali per diffondersi, non solo nella fitta rete di allevamenti familiari caratterizzati da uno scarso livello di biosicurezza, ma anche nella popolazione di cinghiali. L’infezione si è rapidamente estesa verso Nord interessando progressivamente la Federazione Russa e diverse altre repubbliche appartenenti all’ex Unione Sovietica fino a coinvolgere anche stati membri dell’Unione Europea, tra cui Polonia, Germania, Estonia, Lettonia, Slovacchia, Grecia, Lituania, Romania, Ungheria, Bulgaria: ad oggi sono stati registrati migliaia di focolai negli allevamenti di suini domestici e nei cinghiali selvatici.

Il 7 gennaio 2022 il Centro di Referenza Nazionale per lo studio delle malattie da Pestivirus ed Asfivirus dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e Marche ha confermato la positività in un cinghiale trovato morto in Piemonte, nel Comune di Ovada, in provincia di Alessandria. A maggio 2022 casi di malattia sono stati riscontrati in Lazio, in provincia di Roma, incluso un focolaio in un piccolo allevamento sito in zona infetta, e maggio 2023 anche in Calabria e Campania sono state ritrovate alcune carcasse infette, rispettivamente in Provincia di Reggio Calabria e Salerno. Nella provincia di RC sono stai coinvolti dall’infezione anche due piccoli allevamenti domestici.

 Come si trasmette la malattia?

La PSA è una malattia altamente infettiva e diffusiva. I suini ed i cinghiali si contagiano attraverso:

  • contatto con animali infetti, compreso il contatto tra suini che pascolano all’aperto e cinghiali selvatici
  • ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali infetti: scarti di cucina, broda a base di rifiuti alimentari e carne di cinghiale selvatico infetta (comprese le frattaglie)
  • contatto con qualsiasi oggetto contaminato dal virus, come abbigliamento, veicoli e altre attrezzature
  • morsi di zecche infette. Questa è una modalità di trasmissione di minore rilevanza in Europa, in quanto la specie di zecca interessata (O. erraticus) non è presente in maniera uniforme in tutto il continente (S. Costard et al. 2013)

La circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più rilevanti di diffusione della malattia.

Il virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all'interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi.

 La PSA è una malattia pericolosa per l'uomo?

No. Questa malattia non è trasmissibile all’uomo né attraverso il contatto diretto con animali malati, né tramite alimenti di origine suina. L’uomo può però essere veicolo di trasmissione del virus attraverso la contaminazione di veicoli, indumenti, attrezzature, cibo di origine o contenente carne suina, anche stagionata.

 Perché è importante controllare la PSA?

La malattia, pur non rappresentando un pericolo sanitario per l’uomo, è causa di un importante impatto socio-economico nei Paesi colpiti in quanto è causa di ingenti perdite a carico del settore zootecnico suinicolo.

Le norme europee, al fine di eradicare e controllare la diffusione della malattia, prevedono l’abbattimento dei suini domestici in cui è stato riscontrato il focolaio e il blocco delle movimentazioni e commercializzazione al di fuori dell’area infetta, compresa l’esportazione, dei prodotti a base di carne suina provenienti dalle aree focolaio.

Basti pensare al potenziale danno economico conseguente all’esportazione dei prosciutti e di altri salumi ed insaccati italiani riconosciuti ed apprezzati in tutto il mondo.

 

 Quali sono i segni e i sintomi della peste suina africana?

I sintomi principali negli animali colpiti sono:

  •     febbre
  •     perdita di appetito
  •     debolezza del treno posteriore con conseguente andatura incerta
  •     difficoltà respiratorie e secrezione oculo-nasale
  •     costipazione
  •     aborti spontanei
  •     emorragie interne
  •     emorragie evidenti su orecchie e fianchi

La presenza del virus nel sangue (viremia) dura dai 4 ai 5 giorni; il virus circola associato ad alcuni tipi di cellule del sangue, causando la sintomatologia che conduce inevitabilmente al decesso dell’animale, spesso in tempi rapidissimi.

Gli animali che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, giocando dunque un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione.

Il virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all'interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature. Nel sangue prelevato è rilevabile fino a 18 mesi.

 

 Che differenza c'è tra peste suina africana e la peste suina classica?

Si tratta di due malattie che colpiscono i suini, portate da due virus diversi. L’agente eziologico della PSA è un virus a DNA a doppia elica, appartenente alla famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus.

La PSC è invece portata da un virus a RNA a singola elica, appartenente alla famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus.

La sintomatologia nelle forme acute è uguale nelle due malattie e per tale motivo, appena si riscontrano sintomi sospetti nei suini allevati è necessario informare il servizio veterinario competente per il territorio al fine di procedere con gli opportuni accertamenti diagnostici.

 

 Cosa si deve fare per evitare l'ingresso della peste suina africana in un allevamento di suini?

Al fine di evitare l’ingresso della malattia in un allevamento si devono applicare le norme di biosicurezza previste nel Piano nazionale, la sorveglianza passiva nel settore domestico e nel selvatico.

Nel Piano si fa particolare riferimento alle possibilità di contatto con i selvatici, responsabili del mantenimento del virus nell’ambiente e della sua diffusione, in virtù delle grosse distanze che i gruppi di cinghiali sono in grado di coprire anche giornalmente e in riferimento alle operazioni di pulizia e disinfezione in azienda, alla corretta gestione delle norme igienico-sanitarie del personale, etc.

 Cosa devo fare se trovo una carcassa di cinghiale?

È fondamentale informare il servizio veterinario dell’ASL competente sul territorio o della Polizia Provinciale o Municipale in modo che possano essere attivate le procedure diagnostiche ed allo smaltimento della carcassa in sicurezza.

È fondamentale non spostare la carcassa.

 

 Cosa devo fare per evitare di diffondere, in modo inconsapevole, il virus nel territorio?

È indispensabile adottare una serie di comportamenti corretti e di precauzioni per prevenire la diffusione della malattia. Li riportiamo sinteticamente indirizzati a diverse tipologie di utenti.
Per tutti:

  • non portare in Italia dalle zone infette (del nostro o di altri Paesi dell’Unione Europea o Paesi Terzi) prodotti a base di carne suina o di cinghiale, quali, ad esempio, carne fresca e carne surgelata, salsicce, prosciutti, lardo, che non siano etichettati con bollo sanitario ovale
  • smaltire i rifiuti alimentari, di qualunque tipologia, in contenitori idonei e chiusi e non somministrarli per nessuna ragione ai suini domestici o ai cinghiali
  • non lasciare rifiuti alimentari in aree accessibili ai cinghiali
  • informare tempestivamente i servizi veterinari del ritrovamento di una carcassa di cinghiale

Per i cacciatori:

  • pulire e disinfettare le attrezzature, i vestiti, i veicoli e i trofei prima di lasciare l’area di caccia
  • eviscerare i cinghiali abbattuti solo nelle strutture designate
  • evitare i contatti con maiali domestici dopo aver cacciato

Per gli allevatori:

  • rispettare le norme di biosicurezza, in particolare il cambio di abbigliamento e calzature quando si entra o si lascia l’allevamento e scongiurare i contatti anche indiretti con cinghiali o maiali di altri allevamenti
  • notificare tempestivamente ai servizi veterinari sintomi riferibili alla PSA e episodi di mortalità anomala

È possibile scaricare le locandine con le indicazioni per gli allevatori, i turisti, i cacciatori e i veterinari.

 

 E' disponibile un vaccino efficace contro il virus della peste suina africana?

No. Al momento attuale non sono disponibili vaccini efficaci in quanto il virus non stimola la produzione anticorpi neutralizzanti. Questo comporta necessariamente l’applicazione di misure importanti al fine di evitare la diffusione del virus, soprattutto tra gli allevamenti suinicoli.

 Sono disponibili farmaci per la prevenzione e il trattamento della peste suina africana?

No, non esistono trattamenti specifici per la cura della PSA nei suini colpiti.

Per evitare la diffusione della malattia in allevamenti indenni, devono essere applicate le misure previste dalle norme unionali e nazionali.

 

 Vi sono restrizioni nei Paesi nei quali è presente la peste suina africana?

In alcuni Paesi in cui la PSA è molto diffusa sussiste il divieto di uscita e di ingresso di prodotti alimentari a base di carne suina al seguito dei passeggeri. Si consiglia, soprattutto per i viaggi nei Paesi terzi, di informarsi presso le ambasciate sulla possibilità di trasporto di prodotti alimentari contenenti carni suine.

 E' sicuro mangiare carne o prodotti alimentari contenenti carne suina?

I prodotti a base di carne suina possono essere consumati in sicurezza, in quanto il virus della peste PSA non è trasmissibile all’uomo. Tuttavia i rifiuti devono essere correttamente smaltiti.

Va sottolineato che nella Unione europea, a seguito della notifica di focolai di PSA negli allevamenti, è prevista l’attuazione di strette misure di controllo, che vanno dall’abbattimento e distruzione dei suini, all’istituzione di zone infette intorno ai focolai, sia nel settore domestico che nei cinghiali, dove sono vietate le movimentazioni in entrata e in uscita di animali e prodotti, compresi i sottoprodotti, a meno di specifico trattamento volto ad eliminare la presenza del virus, eseguito in stabilimenti autorizzati.

La movimentazione di suini vivi e prodotti suini, inclusi i sottoprodotti, è consentita in deroga e solo previa esecuzione favorevole di rigidi controlli sanitari. Inoltre,  al di fuori delle zone infette, i suini inviati al macello vengono sottoposti a visite pre-macellazione (visita ante-mortem) e post-macellazione (visita post-mortem) che assicurano in caso di sospetto l’eliminazione degli animali dalla catena alimentare.

 

 Come si possono preparare in sicurezza le carni suine?

Premesso che la PSA non costituisce un pericolo sanitario per le persone, è buona norma igienico-sanitaria, al fine di evitare contaminazioni anche con patogeni comuni, separare sempre la carne cruda dai cibi cotti o pronti da consumare.

Non utilizzare lo stesso tagliere o lo stesso coltello per carne cruda e altri alimenti e non riporre la carne cotta sullo stesso piatto o sulla stessa superficie su cui si trovava prima della cottura. Dopo aver maneggiato carne cruda, lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone.

Non mangiare carne suina cruda o poco cotta.

 

 Il virus negli escrementi contaminati per quanto tempo rimane attivo?

In generale, il virus è dotato di una buona resistenza in ambiente esterno e può rimanere vitale anche fino a 100 giorni sopravvivendo all'interno dei salumi per alcuni mesi o resistendo alle alte temperature.

Si riportano schematicamente alcuni dati sulla resistenza del virus:

  • Radiazioni UV: sensibile

Temperatura:

  • -80°C: resiste per molti anni (sangue) con titolo invariato
  • -40°C: 14 mesi (sangue) con titolo diminuito
  • -20°C: 9 mesi (sangue) con titolo diminuito
  • +4°C: (nella carne) 17 - 33 gg
  • +37°C: (nel siero) 18 giorni
  • +56°C x 30 minuti: diminuzione del titolo
  • +63°C x 50 minuti: (nel sangue) inattivazione.
  • In disinfettanti comuni; agenti ossidanti, acidi diluenti, alogeni (cloruro, iodio), ecc., si inattiva rapidamente

Resistenza in condizioni naturali

Permanenza in:

  • feci: 2 gg.
  • organi in decomposizione: 3 - 4 gg.
  • sangue e midollo osseo: 15 gg.

Persistenza nei prodotti stagionati:

  • prosciutto: 188 gg.
  • salami: 60 - 75 gg.
  • carne affumicata: 25 - 90 gg

 In caso di focolai di PSA è consentita la caccia?

Nel caso in cui si verifichino focolai di PSA la normativa comunitaria prevede la sospensione della caccia nelle aree infette, per il maggior rischio di diffusione della malattia attraverso le movimentazioni degli animali selvatici spaventati dall’attività venatoria e per mezzo del trasporto del virus mediante mezzi di trasporto, attrezzi, indumenti, scarpe ed animali cacciati.

Tale misura ha l’obiettivo evitare la diffusione del virus nell'ambiente e di ridurre il rischio di ingresso del virus negli allevamenti di suini.

 Cosa fare in caso di comparsa di sintomi di malattia nei suini domestici o di mortalità di suini negli allevamenti?

  • avvertire immediatamente il servizio veterinario della ASL
  • non avvicinarsi alle carcasse e non consentire a nessuno di avvicinarsi
  • non portare fuori dall'allevamento animali ed oggetti
  • attendere l'intervento del Servizio veterinario della ASL per l'adozione dei provvedimenti stabiliti dalle norme unionale e nazionali

 Gli allevamenti familiari costituiscono un periocolo nella diffusione della peste suina africana?

Gli allevamenti privati di suini per autoconsumo rappresentano comunque un rischio di diffusione del virus nell’ambiente e di contagio.

È necessario impedire che animali selvatici vengano a contatto con gli animali allevati, soprattutto se questi sono allevati anche all’aperto, mediante recinzioni e altre misure previste nel Piano Nazionale di Sorveglianza per la PSA.

I cani e i gatti che hanno accesso agli allevamenti suinicoli non rappresentano un pericolo; tuttavia è opportuno evitare che vengano a contatto con i suini per escludere precauzionalmente che possano diventare un veicolo passivo di trasmissione della malattia ad altri allevamenti o di portare il virus all’interno dell’allevamento interessato.

È, inoltre, buona norma osservare il comportamento degli animali e segnalare qualsiasi sintomo anomalo al Servizio veterinario.

 A chi compete la rimozione di cinghiali rinvenuti morti nel territorio?

Quando si rinviene, anche a seguito di incidente, la carcassa di un cinghiale si deve informare il servizio veterinario dell’ASL competente sul territorio o della Polizia Provinciale o Municipale in modo che possano essere attivate le procedure diagnostiche e di smaltimento della carcassa in sicurezza.

 Cosa fare se muore un suino in un allevamento rurale?

La morte di un singolo animale in un allevamento potrebbe non essere significativa ai fini di sospetto di PSA. Tuttavia, visto il riscontro della malattia in un cinghiale in provincia di Alessandria (Piemonte) il 7 gennaio scorso, il livello di allerta soprattutto nelle zone adiacenti l’area infetta ed in alcuni territori ad elevata vocazione allevatoriale suinicola è incrementato, e pertanto il decesso anche di un singolo animale o la comparsa di sintomi sospetti occorre effettuare segnalazione al Servizio veterinario della ASL al fine di procedere con gli opportuni accertamenti diagnostici e l’applicazione delle misure di prevenzione previste.

 E' opportuno provvedere a disfarsi dei suini posseduti uccidendoli o abbandonandoli?

Chi possiede suini entro le 4 unità deve segnalare il possesso al Comune di appartenenza.

Disfarsi degli animali uccidendoli o abbandonandoli è un comportamento perseguibile penalmente in quanto sottrae gli animali ai controlli sanitari, qualora si rendessero necessari. (Articolo 500 del Codice Penale)

 E' obbligatorio per chi possiede un piccolo allevamento rurale di suini registrarlo alla ASL di appartenenza?

La normativa nazionale prevede l’obbligo di registrare, presso il Servizio Veterinario dell’Asl, la detenzione di specie suina sia per scopi di allevamento commerciale, che rurale, per autoconsumo e hobbistico.

Infatti, tutte le aziende in cui sono allevati o custoditi maiali o cinghiali, inclusi gli allevamenti familiari che detengono anche un solo capo da ingrasso per autoconsumo devono essere registrate nella Banca Dati Nazionale (BDN).

Gli animali in azienda devono essere identificati entro 70 giorni dalla nascita e comunque prima di lasciare l’azienda. Per l’identificazione l’allevatore applica un tatuaggio sul padiglione sinistro riportante il codice dell’azienda di nascita.  È possibile, in aggiunta al tatuaggio, applicare una marca auricolare al padiglione destro con lo stesso codice. Se il tatuaggio non è più leggibile, l’allevatore deve tatuare nuovamente l’animale.

 Esiste una normativa per la sicurezza degli allevamenti biologici?

Gli allevamenti biologici sono sottoposti agli stessi controlli sanitari previsti per le altre tipologie di allevamento; il rispetto di disciplinari di produzione biologica non rappresenta un elemento di maggiore sicurezza sanitaria; la normativa in materia di sicurezza alimentare è la stessa per tutte le filiere produttive siano esse a carattere tradizionale, rurale, industriale o biologico ecc.
Gli allevamenti biologici con animali allevati all’aperto sono maggiormente a rischio di contrarre la malattia dai cinghiali e per questo motivo devono prendere tutti gli accorgimenti necessari per limitare questo rischio, installando ad esempio doppie reti.

 Quali controlli vengono effettuati sui suini?

L'allevamento suinicolo deve essere sottoposto a controllo da parte del servizio veterinario dell’ASL di competenza per il territorio, almeno una volta nell’ambito del ciclo produttivo. Il controllo comprende l'esame dei registri dell'allevatore, e, se del caso, esami complementari, oltre a prelievi di campioni d'acqua e di mangimi. Al macello, i suini devono subire una visita sanitaria ante mortem da parte di un veterinario ufficiale (il veterinario ASL). Una volta macellati, il veterinario ufficiale sottopone le carcasse ad un’ulteriore ispezione (ispezione post-mortem) durante la quale, a sondaggio o comunque in caso di fondato sospetto, può procedere al prelievi di campioni per la ricerca, ad esempio, di residui di sostanze ad azione farmacologica oppure di patogeni. Anche negli stabilimenti che lavorano ulteriormente le carni di suini il veterinario ufficiale deve garantire la sorveglianza ed il controllo sulla lavorazione delle carni stesse, nonché deve assicurare il controllo dell'igiene generale dello stabilimento ed il controllo del registro di entrata e di uscita delle carni.
Le carni che il veterinario ufficiale ritiene possano rappresentare un rischio per la salute umana, o anche per salute degli altri animali (problemi di sanità animale), sono sequestrate per essere sottoposte ad ulteriori accertamenti.