IZS UM 009/18 RC
ON-FARM BIOSECURITY: NUOVE STRATEGIE DI PREVENZIONE DELLA CROSS CONTAMINATION DEI PRINCIPALI PATOGENI DEI PICCOLI RUMINANTI
Responsabile Scientifico: Nicoletta D’Avino
Area tematica: Sanità Animale
Parole chiave: Biosicurezza, Ovini, Caprini
Razionale del progetto
Con il termine “biosicurezza” si definiscono tutte quelle misure messe in atto al fine di evitare l’ingresso di una determinata malattia in una popolazione indenne, oltre che limitarne la diffusione qualora già presente. Le malattie, seppur determinate da agenti eziologici di differente natura, riconoscono vie di diffusione comuni e sovrapponibili, tali per cui il controllo di un singolo rischio si estrinseca attraverso un processo trasversale che, a sua volta, esita in azioni di controllo multiple. Appare evidente come l’applicazione di misure di prevenzione e profilassi delle malattie debba presupporre la conoscenza delle stesse, le modalità di trasmissione, le specie sensibili, le caratteristiche intrinseche dei differenti agenti eziologici, le condizioni ambientali che ne favoriscono la persistenza in un determinato territorio. È altresì necessario avere informazioni circa la reale presenza e la diffusione di un patogeno in una popolazione: individuare le azioni efficaci per il controllo di una determinata malattia necessita di un attenta definizione dello stato sanitario di una determinata popolazione. Il concetto di biosicurezza è applicato ormai da tempo in realtà zootecniche quali l’allevamento suino e delle specie aviari in ragione della tipologia di strutture, del management aziendale che li caratterizza e dell’elevato numero di soggetti presenti per ogni ciclo produttivo, condizioni che basano la loro produttività proprio sul mantenimento di un elevato standard sanitario e di benessere degli animali. L’allevamento dei piccoli ruminanti è caratterizzato per contro da realtà quanto mai varie e variegate prevalentemente di tipo estensivo/semi-estensivo, spesso legate ad aree marginali ed alle tradizioni pastorali del territorio in cui insiste, ma negli ultimi anni sta subendo un radicale cambiamento con l’introduzione di una zootecnia di carattere sempre più intensivo e l’allevamento di razze con una spiccata attitudine alla produzione di latte. In questo contesto appare sempre più stringente la necessità di elaborare percorsi alternativi all’applicazione di protocolli gestionali di tipo emergenziale che, seppur tutt’ora validi, non sono efficaci in termini di prevenzione delle malattie e riduzione dell’uso dell’antibiotico, due fra le tematiche di maggiore interesse nel panorama zootecnico europeo. In termini di biosicurezza dell’allevamento ovino e caprino, le conoscenze in nostro possesso sono per lo più di carattere generale e derivate da studi condotti in realtà zootecniche differenti che ci suggeriscono linee di condotta valide, ma prive di carattere di specificità. Da queste considerazioni appare necessario approfondire le conoscenze legate ad alcune fra le principali dinamiche considerate più a rischio nella diffusione delle malattie e porre le basi per individuare azioni strategiche e specifiche per l’allevamento dei piccoli ruminanti. Una delle principali vie di diffusione delle malattie, sia all’interno di un singolo allevamento che fra allevamenti diversi, è rappresentata dalle movimentazioni di animali, cose e mezzi e, soprattutto, dal personale in carico a tali attività. È certo ormai che ogni ambiente in cui vengono stabulati gli animali gode di un proprio ecosistema che, in presenza di una biosicurezza fallace, può essere alterato e portare allo sviluppo di patologie. Il maggiore veicolo di fattori di disequilibrio è rappresentato dall’introduzione involontaria di agenti esterni attraverso calzature non idonee o non opportunamente disinfettate. Il progetto, attraverso l’impiego di metodiche di campionamento ad hoc e l’inclusione di un numero appropriato di diverse realtà aziendali, si pone come obiettivo la determinazione del grado di contaminazione del suolo/lettiera in allevamento e, in relazione ad essa, la valutazione della possibilità che coloro che operano in qualità di “addetti del settore”, possano fungere da vettori passivi attraverso l’utilizzo di calzature contaminate.